Cuba 2015

A volte la storia ama manifestarsi anche così, come un piccolo negozio senza insegna che apre la saracinesca del futuro in punta di piedi. Questa bottega di calle Chacon, immersa nel budello dell'Habana Vieja, è idealmente e materialmente a metà tra il museo de la Revoluciòn e la sede dell'arcivescovado. La licenza governativa consente a Yolanda di vendere souvenir. E da qualche mese, camuffati tra un portachiavi di Don Bosco e un santino di Padre Pio, da dicembre sono comparsi testi cattolici, articolo che non è consentito ad alcuna libreria della capitale: “Ai librai non è permesso diffondere pubblicazioni religiose. Noi di fatto siamo gli unici. Le proibizioni a Cuba funzionano così. Se chiedi una macchina in prestito, la ottieni. Quando poi fai notare che non ci sono le chiavi, ti spiegano che per quello ci vuole un altro permesso. E quello non arriverà mai”.
A qualche chilometro da qui tutto è pronto per la grande messa. Il matrimonio tra la rivoluzione e il Papa dei poveri è una cerimonia che ne sottende un'altra, il funerale dell'embargo. I fedeli sventolano le immagini di Papa Bergoglio, mentre tutti coltivano nel cuore la speranza che questo sia l'inizio della fine della doppia moneta, del divieto di espatrio, del degrado diffuso, delle code per internet e per il pane, della povertà che costringe professori a fare i tassisti di notte per sbarcare il lunario. “Francesco piace a credenti e non proprio per questo. Ha un appoggio popolare enorme perché in due anni è riuscito a rompere un equilibrio congelato da più di cinquanta. Il disgelo con gli Stati Uniti è un fatto storico, ma non avverrà da un giorno all'altro. Bisogna muoversi con cautela”.
Il marxismo e la religione hanno vissuto su quest'isola da separati in casa. Non potendo proibire direttamente il culto dell'85% della popolazione, il regime ha preferito suggerire caldamente di non farne una cosa pubblica. Essere membro del partito comunista cubano, per esempio, non era compatibile con il battesimo dei figli. A riportare il culto nelle strade è stato Giovanni Paolo II, primo Pontefice a stringere la mano a Fidel Castro. “Da allora le cose hanno iniziato a migliorare. Passo dopo passo abbiamo cercato di conquistare un po' di autonomia. Ma la pratica del cattolicesimo rimane ancora molto complicata”.
Dieci anni fa Edi è riuscito a procurarsi una vecchia Lada, souvenir degli anni Settanta e delle nozze con l'Unione Sovietica. Come autista di taxi particular, la formula semiabusiva e diffusissima di trasporto, riesce a mettere da parte anche il pesos degli stranieri, l'unica moneta che sfugge a un'economia che sostanzialmente si appoggia ancora sull'assistenzialismo statale e il baratto. Guida con una vistosa croce appesa al cruscotto: “Domani all'alba (oggi per chi legge, ndr) porterò mia moglie e i bambini qui in piazza ad assistere alla messa. Per me è un giorno come tanti altri, più redditizio, non mi posso certo permettere di non lavorare. Ma lei pregherà pure per me. Fino a ieri non stava bene dire di essere cattolici, oggi è diverso”.
In plaza de la Revoluciòn i primi accampamenti sono cominciati in serata. C'è chi è intenzionato dormire qui, un po' per risparmiare, un po' per il timore di non riuscire a raggiungere un centro città che rischia il collasso. Sono migliaia le persone attese da ogni angolo del Paese, comprese quelle parti meno conosciute dal turismo di massa. Arrivano da Santa Clara, Ciego De Avila, Las Tunas, Matanzas, Trinidad, fino a Santiago de Cuba e Baracoa, la maggior a parte a bordo delle Guagua, vecchie corriere messe a disposizione dal governo. La benedizione, altro contrasto che strizza l'occhio al grande convitato di pietra di questa giornata, avverrà nel cuore del Vedado, il quartiere che da qualche mese ospita di nuovo l'ambasciata a stelle e strisce e che negli anni Trenta è stato il paese dei balocchi del boss ebreo Meyer Lansky e di tutti gli esuli della mafia americana. La piazza della rivoluzione è pronta. Migliaia di seggiolini, soccorsi medici, un poliziotto a ogni strada, i posti riservati all'orchestra e un trono vuoto montato sul palco da cui parlerà il primo capo del Vaticano figlio del continente sudamericano. Anche Cuba è pronta. La porta che per ora è ancora socchiusa, nasconde incertezze, paure e i rischi immensi di un'apertura che, se mal gestita, potrebbe riservare aspetti terribilmente traumatici. Ma nessuno qui sembra avere il timore, un giorno, di rimpiangere questo presente.

pezzo di Marco Grasso pubblicato sul Secolo XIX